CAP vs DNA: per sapere quanto sei intelligente devi conoscere il tuo codice postale piuttosto che il tuo codice genetico

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Recentemente la prestigiosa rivista Nature ha pubblicato i risultati di un importante studio prospettico dal titolo Neurodevelopmental milestones and associated behaviours are similar among healthy children across diverse geographical locations. Complessivamente l'indagine ci informa del fatto che non vi è legame tra capacità cognitive e appartenenza etnica.

Può sembrare un "uovo di Colombo", ma è sempre bene ribadire certi concetti, ricordando, casomai qualcuno ancora non l’avesse compresa, la lezione dell’epigenetica che ci spiega come siano solo i "sistemi" guidati dalla "relazione" a realizzare ciò che noi chiamiamo individuo, nel suo contesto storico e culturale. È quindi da sfatare definitivamente il mito del "biologico" se inteso nel senso della genetica riduzionista e/o in senso eu-genetico, come ancora oggi si continua a sostenere in certi ambienti, purtroppo anche scientifici.

A tal proposito ricordiamo le reiterate dichiarazioni di Watson (uno degli scopritori della doppia elica del DNA) che sembrano essere ancora ferme al famigerato The Bell Curve del 1994 (qui un interessante commento in merito), uno dei testi che portò alla ribalta il dibattito su razza e intelligenza, sostenendo come fa appunto Watson che il gap nel QI (quoziente intellettivo) fosse principalmente su base genetica e quindi etnica.

Lo studio è stato condotto valutando le tappe dello sviluppo neurobiologico, somatico e psicologico di oltre 1000 soggetti. È stato chiaramente dimostrato che, a parità di soddisfacenti condizioni socio-economiche, ambientali e di salute, i parametri sono molto simili tra individui di aree geografiche e culturali molto diverse fra di loro. Pertanto sembra che siano soprattutto le diseguaglianze ambientali e sociali che intervengono durante la gravidanza e nella prima infanzia a determinare eventuali differenze a carico dei diversi gruppi etnici.

Questi risultati sono molto rilevanti in quanto si è trattato del primo studio mai effettuato sullo sviluppo neuroevolutivo nella prima infanzia con caratteristiche metodologiche di uniformità e standardizzazione e che, in aggiunta, venisse realizzato contemporaneamente in varie regioni del mondo (Brasile, India, Kenya, Gran Bretagna, Italia). L’Ente italiano che ha partecipato all'indagine è stato il Dipartimento di Neonatologia universitaria della Città della Salute di Torino.

Nella prima fase dello studio è stato definito un team internazionale multidisciplinare che ha messo a punto, dopo un’accurata revisione della letteratura scientifica, un test multidimensionale ad hoc, finalizzato a misurare lo sviluppo neurobiologico e comportamentale durante la prima infanzia in soggetti appartenenti a etnie e contesti culturali diversi. Il test valutava una serie di abilità: linguistiche, motorie, visive, uditive, cognitive e di attenzione.

Alla luce dei risultati, gli Autori, con una certa ironia, hanno affermato che…”most of the observed differences in growth and neurodevelopment across general populations or countries are primarily due to socioeconomic, educational and class disparities, i.e. postal codes define the health profiles of humans better than their genetic code”.  (trad: la maggior parte delle differenze nella crescita e nel neurosviluppo che vengono osservate tra i popoli e le aree geografiche sono principalmente dovute a disparità socioeconomiche, educazionali e di classe sociale, ovvero: il codice postale descrive meglio del DNA lo stato di salute generale di un essere umano).

 

Ilario Mammone
Presidente S.I.Psi